E l’arida vicina a sè le attira,
Finchè beendo satura non sia.
Colla ricchezza e colla sua sorgente 200L’oro confondi, e dalla tua premessa
Questa discende logica sentenza:
Purchè l’oro rimanga, il tutto pêra:
Di mantici, d’incudi e di martelli
Odi il soffiare, il battere e l’alterno 205Frequente risonar; vedi gl’irsuti
Robusti fabbri colle braccia ignudo
Sudare al foco della mia fucina.
Alla materia io veglio ed al lavoro
Che di falci, di vomeri e di seghe, 210Di scalpelli e tanaglie arma la destra,
Che a grazïose forme il legno atteggia.
Le cuoia batte e spiega, i marmi avviva,
E fa di spiche biondeggiar il solco.
Ma fastidio men prende. In feste è danze 215E giochi fra le tazze e i lieti viva.
A me giova protrar le notti lunghe.
I fabbrili strumenti andâr col fumo
Delle cene squisite, e colla schiuma
Del fremente licor. Lacero e scarno 220Errando vo col danno e la vergogna;
Ma l’oro in novi circoli si aggira
Per nuove mani, e la civil famiglia
Qual iattura soffrì? Stolto! lo chiedi
Ai congedati fabbri, alla negletta 225Turba cui manca il pan, se non l’aiuta
L’umile arnese all’umile fatica.
Getta le mèssi alle voraci fiamme:
Non ti caglia di noi, l’oro rimane.
O voi, che l’economica dottrina 230Ignorando sprezzate, ad altro vero