Pagina:Serra - Scritti, Le Monnier, 1938, I.djvu/202

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la sorella; e in un ritratto che vuol esser tutto conciso, calcato, abbondano le zeppe («a cui nel petto canta un lieto coro, — giovani capinere e rosignoli»; «con te, con Schicchi, a notte piena, via»). Leggera e pura, è la figurina della sorella buona, ma chi sa dirmi poi quanto valore e significato sia cresciuto in quella semplice descrizione per le poesie che abbiamo lette dopo, e che ivi sembrano presentite, del Pascoli?

Molto meglio i Bordatini. C’è qualche cosa nei metri antichi che canta e risplende; la semplicità dei motivi, la modestia dell’accento, la stessa uniformità dei richiami e degli echi a noi ben famigliari, conviene tento bene a quello spirito vago di amatore delle forme antiche! l’animo nostro se ne sente lieto e leggero, disposto a udire tutte quelle altre voci più umane e schiette di affetti e di ricordi. Sorgono aspetti amati della campagna, idilli di uccellini, musiche notturne, sospiri di romanelle appassionate; e quelle piccole scene domestiche, fra la malinconia dolce dei vecchi e la voluttà onesta della sposa, di cui non v’è cosa più cara.

Voi sapete che questa non è ancora poesia. È un principio della poesia, è la simpatia di un’anima ben fatta disposta ad amare e a contemplare e a cantare. Ma il canto? certo c’è nella verseggiatura di queste cose quella che il Carducci chiamava gaiezza: una fatica diventata facile, che si gode del suo lavoro e anche delle sue difficoltà. C’è nella voce qualche cosa di lucente e fiorente. Quell’intarsio e quella gravezza di elocuzione ricca del Mago si è sciolta, si è mossa; Severino si è fatto una lingua sua, non pittoresca, non luminosa, ma con un impasto proprio, che prende dolcezza e sapore da quella stessa fa-