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208 SCRITTI DI RENATO SERRA

arido in cui la noia si dissecca, così come si asciuga il gelo delle piccole gocce di pioggia sopra le guance calde.

Ma anche la stanchezza è inutile e la noia e ogni cosa. Inutile fermarsi come un bambino a contemplare la pioggia e a cercare una primavera, che se anche ci fosse non avrebbe nulla da dirmi. Tutto è eguale. E gli occhi che si son provati per un momento a interrogare l’universo, tornano con meccanica rassegnazione alla strada di tutti, scrutando le zone di ghiaia più asciutta fra le pozzanghere gialle; e ogni cosa riprende il suo posto, un passo dietro l’altro, fin che il giardino è finito di traversare, e tutte le incertezze si quetano davanti alla porta. Alta, pesante, scura; con l’aria deserta che hanno le vecchie porte nelle mattine di domenica, nei luoghi dove la gente non passa, e i battenti che sono stati spalancati tutta la settimana si raccostano e sembrano aderire l’uno all’altro col vischio della grossa vernice brunastra.

L’imposta cede lenta alla mano e si apre sul silenzio vuoto, nel buio. Si apre con un lungo e consolato sospiro, finalmente, sulla mattina della mia volontà, sul vuoto e sul silenzio che è mio, perchè l’ho cercato. C’è dell’amicizia, per me, al di là di quel buio. È il mio luogo, il mio carcere, il mio destino. Qualche cosa di freddo e arido, infinitamente migliore di tutto il piacere e di tutta l’agitazione per una bellezza, che non potrò mai possedere del tutto. Ma, l’angustia e la rinunzia, nessuno me la può togliere. Non penso a niente di preciso: ci sono dei libri che mi aspettano e qualcuno forse è pieno di cose nuove e di dubbi; c’è anche il lavoro, quello che la gente chiama lavoro. il mucchio di carta sporca e indifferente, a cui io non voglio chiedere nè soddisfazione nè mi-