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360 | scritti di renato serra |
Piuttosto sarà da rammentare che la divisione non è poi molto recisa. È uno stato di cose oramai vecchio che continua oggi più in apparenza che in sostanza. Ieri, si dice verso il ’70 e l’’80, la distinzione fra i due tipi aveva un significato: in quanto che l’articolo di giornale, fosse causerie con garbo e vivacità letteraria, come la poteva fare un Panzacchi, o pura e semplice recensione, o chiacchierata di dilettante o soffietto d’amico, non aveva niente di comune con la critica, come la faceva D’Ancona o Rajna o il Giornale Storico, secondo quel tipo di pura enumerazione ed esattezza materiale di citazioni, di apparato, e insomma di catalogo, affatto estraneo, fuor che per l’oggetto casuale, alla letteratura e alla critica, intesa come esercizio del giudizio e del gusto (era il tempo in cui estetica voleva dir press’a poco superficialità e dilettantismo; e critica designava soltanto l’erudizione, dal punto di vista dell’onestà piuttosto che dell’intelligenza; meglio ancora di critica si diceva poi «scienza»).
La distinzione era di generi e non di persone; c’è sempre stato dei giornalisti che sono diventati professori, come, poniamo, il Cesareo, e dei solenni eruditi, che scrivevano anche varietà e recensioni spicciole, come il D’Ancona, mostrando nel giornalismo una certa personalità robusta e piacevole, che non appariva nei volumi, o il Renier, conservando nelle varietà moderne la minuzia arida e perdendo la ricca utilità del lavoro sul Giornale.
Oggi poi la distinzione si è attenuata, è rimasta come uno di quegli usi della vecchia etichetta, di cui si conserva la traccia ma non si sente la ragione nella nostra società democratica; e lo scambio e la confusione è cresciuta.