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dopo il 15 maggio 215


la sconfitta, la sventura di re Carlo Alberto, nella Camera si levò la voce: «Vadano i nostri soldati a rimettere la fortuna, ché c’è ancora Venezia che combatte». I ministri non risposero. Il deputato marchese Luigi Dragonetti interpellava il ministro su le inique e feroci opere del governo nelle Calabrie: e il Bozzelli difendeva quelle opere come giuste ed inevitabili, e diceva che era liberale anch’egli, e sollevando i polsi: «Ho ancora qui i segni delle manette che piú volte mi hanno stretto i polsi». E in questo dire e dimenarsi cade su gli scalini della tribuna. «Bene, bene, meritamente», fu gridato dalle tribune: questo fu il solo applauso che egli ebbe. Si levò inviperato, ed andò via. Surse il deputato Carlo Poerio, e narrò tutte le scelleratezze commesse nelle Calabrie, e l’eccidio di Filadelfia e del Pizzo, la ferocia de’ soldati, i crudeli comandi del Nunziante. Dopo pochi giorni fu pubblicata nel giornale uffiziale una lettera dal Nunziante al ministro della guerra; nella quale erano molte ingiurie al Poerio ed alla Camera. Allora il magnanimo Poerio con suo grave discorso confermò i fatti che aveva prima narrati, e propose che la Camera dichiarasse come quelle ingiurie non giungevano a lei; e la proposta fu votata con appello nominale e fu vinta.

Era il giorno 13 luglio ed io vidi molte carrozze chiuse, che circondate da soldati a cavallo con le pistole in pugno presero la via di castel Sant’Elmo. Erano i capi delle milizie siciliane state in Calabria, e fatti prigionieri, che andavano ad essere sepolti in quel castello. Caduta la rivoluzione di Calabria, i siciliani fuggirono sopra alcuni piccoli legni, e dopo lunghi travagli mentre erano a poca distanza da Corfú e si tenevano salvi, furono sopraggiunti dal vapore napoletano lo Stromboli, comandato dal Salazar, e furono fatti prigionieri, ed erano circa seicento, tra i quali il Ribotti. Menati a Reggio, poi a Napoli, i capi furono gettati nei sotterranei di Sant’Elmo, gli altri mandati in galera: Giacomo Longo e Filippo delli Franci, perché antichi uffiziali dell’esercito napoletano, furono sottoposti al giudizio d’un consiglio di guerra. Carlo Poerio, come avvocato, si presentò a difenderli, e seb-