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XXIV

(La finestrella sul mare).

Santo Stefano, 23 gennaio 1855.

Oggi è stato un bellissimo tramonto: l’aere tiepido e sereno, il mare tranquillo. Io ho aperta la finestrella piú vicina al mio posto, la quale, se non foss’io, raramente si aprirebbe da alcuni miei compagni che sempre parlano di non so quali catarri e raffreddori, e mi son messo a riguardare. Gli occhi miei si riposavano sulle acque del canale che è tra Santo Stefano e Ventotene leggermente increspate per la corrente, e vedevo sette battelli pescherecci quale immobile quale guizzante e lasciantesi indietro una lunga striscia su l’acqua. L’isoletta di Ventotene, col suo paesello che scende declinando sino alla marina, e con le biancheggianti mura del suo camposanto, mi si dipingeva tutta quanta innanzi agli occhi come una ninfa marina che solleva dal mare la bella faccia con le chiome verdeggianti di alga. Nelle campagne di questa isoletta sono molte casette sparse qua e lá, da due delle quali le piú lontane, saliva nell’aere una verghetta di fumo che si spandeva e vaniva. Le grotte incavate nel tufo, nelle quali abitano i pescatori, il porto, un ponticello sopra una vallata, alcuni scogli, e piú sopra un cannone con la bocca rivolta a Santo Stefano tutto mi appariva distintamente. Piú in lá di Ventotene il mare, e in fondo all’orizzonte l’isola di Ponza, dietro la quale si nasconde Palmarola, a sinistra si vede Zannone, ed a destra lo scoglio detto la Botte che ad occhio nudo sembra una gran nave lontana. Sono stato lungamente a riguardare questo spazio di mare, quest’isoletta vicina, e quelle lontane, quei battelli dove vedevo muovere uomini, quel camposanto