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LXIV

(Riflessioni sull’attentato Orsini).

Santo Stefano, 3 aprile 1858.

. . . Non mi pare che spunti luce per noi. Se sai novelle fammele conoscere. Le relazioni diplomatiche non pare che si rappiccheranno: per l’affare del Cagliari forse si romperanno anche le relazioni con la Sardegna che pretende il Cagliari e l’equipaggio indebitamente arrestati. Dove andremo a parare non so: intanto sono dieci anni che i mali pubblici vanno crescendo, e i nostri privati non ci fanno sperare una prossima fine. Vedremo anche l’esito della causa di Salerno.

Ti rimando la lettera del nostro Raffaele: ed aspetto le altre con grande desiderio. Figlio mio benedetto! Io non so pensare a lui, non so parlarne, non so scriverne il nome senza benedirlo sempre, sempre, sempre! E quest’unica consolazione ci resta, quest’unico amore pe’ nostri figliuoli ci rende ancora sopportabile la vita.

Ho un pensiero pel capo che mi tormenta. Tutti gli uomini di senso umano e di qualunque opinione hanno avuto orrore del misfatto commesso in Parigi il 14 gennaio contro centocinquanta persone innocenti: gli uomini di governo e politici hanno temuto per la pace e l’ordine di Europa: tutti i giornali hanno levata la voce contro l’assassinio vile ed inutile, e dicono che Napoleone è il solo uomo, eletto dal popolo francese, e che conviene alla Francia al presente. Si sono dette tante e tante cose, quali giuste, quali false, quali buone, quali cattive: io vorrei dimandare all’Europa due cose: perché tre volte non francesi, ma italiani hanno tentato di uccidere il reggitore della Francia? e perché in questo secolo ci ha tanti che hanno attentato alla vita de’ principi, quanti non ne sono stati mai in nessun secolo? E fatte queste due do-