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[507] difesa di luigi settembrini 221


come dice l’accusa, perché scegliere queste che non son prove, anzi per contrario provano brutte intenzioni?

Fui eletto deputato il 24 novembre, e finalmente il 30 il Bozzelli fece accettare la mia rinunzia; ma perché quando fui eletto non ancora avevan voluto tormi l’uffizio, io dissi che la mia elezione era nulla, rinunziai spontaneamente, e la Camera approvò la mia rinunzia. E questa sia la risposta che io fo a chi mi accusa che io brigava per essere deputato.

Disciolta la Camera, gli amici, i conoscenti, e quelli che non mi conoscevano, mi venivano attorno, m’investivan per le strade, e mi dicevano: «O Settembrini, vattene, muta cielo: tu sei odiato a morte e piú di tutti: se ti afferrano, guai a te». Io ringraziava tutti del consiglio, e rispondeva che io non doveva temere perché non mi sentiva reo di nulla, perché il governo sapeva le mie azioni e le mie temperate opinioni. E poi chi mi deve odiare, se io non ho offeso nessuno? chi può temere di me che in tutto il giorno non fo altro che studiare ed insegnare? Ma per non dare occasione a queste voci, per godere un poco di tranquillitá, e per ristorare la salute della povera moglie mia, che da quelle antiche sventure non ha avuto piú un’ora di bene, andai il 6 maggio 1849 ad abitare in un casino sulla collina di Posilipo; dove sperava di aver pace, donde non discendeva se non per le solite mie lezioni. Un dí tra gli ultimi di maggio discendendo dal casino incontrai nella strada di Chiaia il mio rispettabile amico Carlo Poerio, che da lungo tempo io non vedeva. Questi mi disse che in sua casa talvolta andava un tale Iervolino per cercargli protezione ed impiego, ma ch’era una spia salariata; che egli aveva avuto tra le mani un rapporto che costui scriveva al commissario di polizia Gennaro Cioffi nel quale parlava di esso Poerio e di me: e di me diceva ché io gli aveva data speranza di prossima rivoluzione. Io risposi non conoscere neppure di nome quest’uomo: non mi curai di nulla perché avvezzo ad udire simili spaventi, perché era sicuro della mia coscienza, era sicuro che il governo mi conosceva, e non avrebbe commesso un abuso contro di me senza un’accusa legale. Ma il 23 giugno «in linea di prevenzione e per ordine di S. E. il ministro dell’interno» il prefetto di polizia mi faceva arrestare.

Tutti questi fatti della mia vita e gli altri che dirò appresso, saranno da me provati innanzi la corte criminale con bei testimoni e con documenti. E quantunque da questi fatti si veggano chiare