Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. II, 1934 – BEIC 1926650.djvu/228

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le mie opinioni, pure io voglio dire piú apertamente ed al cospetto di tutti come penso e come sento.

Nel mondo non vi sono altri che due soli partiti, gli uomini onesti, ed i birbanti. Io mi sono sforzato sempre di appartenere agli onesti, e non mi son brigato mai dei nomi, perché ho veduto molte opere nefande commesse da uomini detti o realisti, o liberali, o assolutisti, o repubblicani, o costituzionali. Io amo la libertá, la quale per me significa l’esercizio dei propri diritti senza offendere nessuno, significa giustizia severa, significa ordine, significa rispetto ed obbedienza alle leggi ed alle autoritá. Questa libertá io amo caldamente, questa è la libertá desiderata dagli uomini onesti: e se amarla è delitto, mi confesso reo, e ne accetto la pena. Per ottenere questa libertá io desidero un governo con leggi giuste, e rigorosamente osservate da tutti senza distinzione: a questo governo date il nome che volete, che poco m’importa; ma leggi e non arbitrio, leggi e non partiti. Negli anni passati non avevamo molte buone leggi, e le poche buone erano violate e calpestate dall’arbitrio; onde nascevano tanti mali, tanto scontento, tanti turbamenti politici: e si vedeva manifesto il bisogno della nazione che voleva buone leggi ed osservate. Vedendo questo bisogno il provvido principe ci diede una costituzione, la quale giunse desiderata e cara a tutti, se non a pochissimi che son nati come i serpi per strisciare ed avvelenare. Per opera di questi pochissimi quella costituzione ora è straziata e lacerata in tutti i suoi ottantanove articoli. Credete voi che questo strazio e questa lacerazione non produrrá altri mali? o che li potrete impedire come vi piace? Voglia Iddio che io sia falso profeta! Io voglio per poco parlare a voi che abborrite la costituzione, che congiurate per rovesciarla interamente: che ne vorreste cancellato anche il nome: Capite voi quello che dite e quello che fate? Credete di amare e di lodare il re, ma voi lo abborrite e lo vituperate. Infatti chi dice che io ho dato una cosa per paura, mi chiama vile, chi dice che l’ho dato a chi non la desiderava e non la pensava, mi chiama pazzo: chi mi consiglia di riprendere un dono che io ho fatto ed ho giurato di mantenere, mi consiglia di essere spergiuro. Vedete quale empietá commettete senza saperlo. Onde io grandemente mi maraviglio che il procurator generale, Filippo Angelillo, che è dotto ed egregio magistrato, sul principio dell’accusa abbia scritte queste parole: «In aprile 1848, rotto ogni freno di morale e di religione, i faziosi tendevano a slacciarsi pur da quello di un