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Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. II, 1934 – BEIC 1926650.djvu/242

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236 appendici [522]


di lá in castel dell’Ovo, dove stette tre giorni digiuno, fu assalito con altre arti. Gli si disse che ei dovesse sottoscrivere una dichiarazione che non nuocerebbe a nessuno ma assicurerebbe il governo. Gli fu promesso un impiego e la protezione dei principi italiani, se no una palla al collo e gittato in mare. La dichiarazione fu scritta, il prefetto la postillò ben quattro volte e ricopiata che fu, il Margherita la sottoscrisse, credendo non nuocere ad alcuno, aver l’impiego e la protezione. Nello stesso modo fu assalito il Carafa, il quale nato ed educato gentilmente, spaventato da minacce e dal carcere solitario, disse e scrisse quello che da lui si voleva. Ognuno degl’imputati ha raccontato quello che ha patito nel castello. Nicola Muro fu tenuto cinque giorni con le mani legate, scioltagli sola una mano quando doveva cibarsi di solo pane ed acqua. La moglie di Giovan Battista Sersale fu tenuta cinque giorni in una segreta del castello. Gaetano Errichiello dovendo esser raso e tosato fu fatto sedere su di una seggiola in una piazza in mezzo a soldati armati che dicevano doverlo fucilare. Io e pochissimi fummo in stanze non orride perché le terribili erano occupate da altri, perché io giunsi tardi, compiuto il processo, rallentati i rigori. Ho saputo ancora che alcuni imputati furono moltissime volte chiamati dall’inquisitore, il quale diceva loro: «per non fare confusione aggiungiamo queste novelle cose al primo interrogatorio, e facciamone uno solo». Gl’imputati ignoranti acconsentivano: si lacerava il primo interrogatorio, se ne scriveva un altro con la data del primo; cosí compariscono prima molte cose dette di poi, cosí si leggono dichiarazioni lunghissime, ordinate, studiate, rotonde, ed anche eleganti. Questo fatto non può provarsi, perché avvenuto tra l’inquisitore, il cancelliere, e gl’imputati veduti ed ascoltati solamente da Dio; ma l’inquisitore, il cancelliere, e gl’imputati dovranno giurare innanzi a Dio sulla veritá del fatto. Ho saputo che il comandante del castello signor colonnello Almeyda, onorato e gentile militare, spinto da lodevole zelo, ma ignorando le attribuzioni sue e quelle d’inquisitore, fu adoperato anch’egli nella istruzione di questo processo strano. Sforzandosi di persuadere il detenuto Gualtieri di dir molte cose, gli dettò alcune dimande, e volle che il Gualtieri gli rispondesse in iscritto. Questi tornato nella sua stanza lesse quel dettato all’Agresti che era in una stanza contigua alla sua e divisa per una porta: rispose, e ritenne la minuta la quale comincia cosí: «Si chiede conoscere dalla giustizia i seguenti particolari, mentre la stessa è in piena conoscenza con