Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. II, 1934 – BEIC 1926650.djvu/284

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ad insegnare, e vi faceva il conto, che non mi restava bricciola di tempo. L’accusa sosteneva, che nel carcere io cospirava ed approvava disegni d’assassinii: ed io vi chiedeva d’interrogare l’ispettore delegato del carcere ed il custode, per sapere che cosa io faceva, e chi veniva a vedermi. Voi mi negaste tutto.

Ne’ termini della difesa io repulsava il denunziante Iervolino, e vi dava sette testimoni per provare che costui era salariato dalla polizia, e per questa qualitá non poteva essere udito in pubblica discussione. Voi ordinaste «rigettarsi la ripulsa, e sentirsi il testimone», cioè voleste udirlo, e come testimone. Dopo che l’udiste io per toglier fede a’ suoi detti tornai a chiedervi di udire quei testimoni, e voi tornaste a negarmeli, ordinando che lo dimostrassi salariato presentando documento. Io allora non so dire se lealmente o disperatamente vi chiesi, di domandar voi dalla stessa polizia, se il Iervolino aveva un salario, e voi neppure questo voleste concedermi. Questo era il mio discarico, voi me lo avete rigettato, dunque eravate persuasi o della mia innocenza, o della mia reitá, e non voleste udire ragioni. Che se mi direte, non esser queste posizioni pertinenti, io rispondo che allora non è neppur pertinente l’accusa, alla quale queste si oppongono. È un fatto vostro questo, o signori, e la piú chiara ed inevitabile conseguenza di questo fatto è, che negata la difesa, non si può ritenere l’accusa. A molti avete molto consentito, a me negato tutto. Non aveva ragione di dire io, che il mio delitto è che io mi chiamo Luigi Settembrini?

Questo fatto, o signori, è gravissimo, è immenso, è unico, esso solo vi dice che non potete non assolvermi. Non mi avete rimasto altro mezzo di difesa, che il solo e nudo ragionare, ed io in quest’aula, da questo luogo, in questa condizione che io sono, ed in questi tempi non posso dire quello che dovrei e potrei dire. Onde non mi resta altro, che la fiducia della vostra giustizia. Con l’arme adunque della ragione io combatterò l’accusa; e poiché la ragione è figlia di Dio, in nome di Dio e con piena confidenza in lui io mi difenderò.