Pagina:Settembrini, Luigi – Ricordanze della mia vita, Vol. II, 1934 – BEIC 1926650.djvu/286

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furono sciocche opere di pochi sciocchi, che meriterebbero piuttosto disprezzo che pena: vi dimostrerei che in fondo non ci è altro che intrigo di pochi impostori, la credulitá di alcuni stolti, le apprensioni troppo fantastiche nel governo, e negl’istruttori troppa credenza a queste follie. Imperocché io credo e son certo, che tutti quanti noi che nascemmo nel reame di Napoli, tutti senza eccezione di nessuno, abbiamo un grande nemico in noi stessi, che è la nostra fantasia. Ma io debbo difender me, onde vi parlerò di me solo, e vi toccherò di questa idea madre, soltanto per quello che mi riguarda. Nondimeno voi o giudici rammentatevi di questa idea.

Sono io capo della setta! E chi son io? Un uomo povero, non conosciuto da alcuno, non conoscente alcuno, di mediocrissimo ingegno, di tarda favella, di pochi e sfortunati studi, un professore di lettere, un maestro di scuola.

Ma chi vorrebbe far credere a voi ed al mondo, che un maestro di scuola, diventi subitamente il terribile capo di una terribile setta? Il Iervolino, il Romeo, il Carafa, il Margherita. Parliamo di ciascun di costoro.

Iervolino. — Chi è Luigi Iervolino? Io voleva mostrarvelo con prove testimoniali: e voi non lo avete voluto sapere. Ma che dice questo Iervolino?

L’avete udito dall’avvocato Castriota, e dall’amoroso mio difensore signor Lauria, i quali lo hanno confutato e distrutto. Permettete che vi aggiunga alcuna cosa anche io, e siatemi benigni se ripeterò qualche cosa giá detta.

Considerando in generale tutto il detto del Iervolino dal suo primo libello del 23 aprile 1849 fino a quando venne a spergiurare in pubblica discussione, si vede che va sempre crescendo per modo che quel libello è la piú mite fra le sue denunzie, la dichiarazione fatta innanzi a voi è la piú velenosa.

Questa progressione non nasce da nuovi fatti ch’egli depone; dappoiché nella pubblica discussione egli disse le medesime cose che nel primo libello; ma variandole, aggiungendovi, togliendovi, contraddicendole, e spargendole di rabbioso veleno; nasce dunque dalla malizia, dal voler mostrare che meritava il soldo. Il suo detto cresceva, perché crescevano le persecuzioni politiche, perché egli voleva farsi merito, perché sempre piú egli si avanzava nella via della calunnia e del delitto, perché egli diceva il falso. Se avesse detto il vero la progressione sarebbe stata contraria, avrebbe nar-