Pagina:Sino al confine.djvu/280

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coli occhi sollevati, la zia Itria fissava Gavina con uno sguardo malizioso e ridente; ma di tanto in tanto abbassava le corte palpebre rossiccio e allora il suo viso prendeva un’espressione dura.

— Tu sei venuta per burlarti di me! — disse infine. — Ta, ra, ta, ta! Raccontami le storielle di Roma.

Gavina protestò. Il suo accento era sincero, quasi commosso, ma la vecchia diffidava di lei, e d’altronde era così convinta di non far nulla di straordinario aiutando e frequentando i poveri e i malvagi che le pareva un sarcasmo sentirsene lodata. Ella non aveva alcuno scopo; non sperava di redimere i delinquenti, nè di sollevare più che momentaneamente i poveri; li aiutava e li avvicinava come fossero dei malati, e non pensava ad altro. Ma sentendosi dire da Gavina che tutto questo era bello, confortante, si offendeva più che quando sua cognata e suo fratello il canonico dicevano che ella si circondava di mascalzoni perchè li temeva o prendeva gusto a stare in loro compagnia.

— Ta, ra, ta, ta! Parliamo d’altro. Questo figlio, dunque, tu vorresti prenderlo dove lo trovi. Faresti come le donne povere che quando han voglia di fichi d’India se li vanno a prendere dai possedimenti altrui. Bada a non pungerti, però! «Fizos, fastizos»1.

  1. Figli, fastidi.