Pagina:Slataper - Il mio carso, 1912.djvu/99

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miniamo con i nostri cotidiani passi lenti, in cerca della nostra solitudine.



Il carso è un paese di calcari e ginepri. Un grido terribile, impietrito. Macigni grigi di piova e di licheni, scontorti, fenduti, aguzzi. Ginepri aridi.

Lunghe ore di calcare e di ginepri. L’erba è setolosa. Bora. Sole.

La terra è senza pace, senza congiunture. Non ha un campo per distendersi. Ogni suo tentativo è spaccato e inabissato.

Grotte fredde, oscure. La goccia, portando con sè tutto il terriccio rubato, cade regolare, misteriosamente, da centomila anni, e ancora altri centomila.



Ma se una parola deve nascere da te — bacia i timi selvaggi che spremono la vita dal sasso! Qui è pietrame e morte. Ma quando una genziana riesce ad alzare il capo e fiorire, è raccolto in lei tutto il cielo profondo della primavera.

Premi la bocca contro la terra, e non parlare.