Pagina:Solerti - Vite di Dante, Petrarca e Boccaccio, 1904.djvu/22

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10 giovanni boccaccio.

chiare. Se a tutte l’altre iniquità fiorentine fusse possibile il nascondersi agli occhi di Dio che veggono tutto, non dovrebbe questa una bastare a provocare sopra sè la sua ira? Certo sì. Chi in contrario sia esaltato, giudico che sia onesto il tacere: si che, bene riguardando, non solamente è il presente mondo del sentiero uscito del primo, del quale di sopra toccai, ma ha del tutto nel contrario volto i piedi. Perchè assai manifesto appare che se noi e gli altri che in simile modo vivono, contro alla sopra toccata sentenzia di Solone, sanza cadere stiamo in piedi, niun’altra cosa essere di ciò cagione, se nonchè o per lunga usanza la natura delle cose è mutata, come sovente veggiamo avvenire, o è speziale miracolo, nel quale per li meriti di alcuno nostro passato, Dio contro ogni umano avvedimento ne sostiene, o è la sua pazienzia, la quale forse il nostro riconoscimento attende; il quale se a lungo andare non seguirà, niuno dubiti che la sua ira, la quale con lento passo procede alla vendetta, non ci serbi tanto più grave tormento, che appieno supplisca la sua tardità. Ma però che, come che impunite ci paiano le mal fatte cose, quelle non solamente dobbiamo fuggire, ma ancora, bene aoperando, di amendarle ingegnarci; conoscendo io me essere di quella medesima città, avvegna che piccola parte, della quale, considerati li meriti la nobilità e la virtù, Dante Alighieri fu grandissima, e per questo, siccome ciascun altro cittadino, a’ suoi onori sia in solido obbligato; come che io a tanta cosa non sia sofficiente, nondimeno, secondo la mia piccola facultà, quello ch’essa doveva verso di lui magnificamente fare, non avendolo fatto, m’ingegnerò di far io; non con istatua o con egregia sepoltura, delle quali è oggi appo noi spenta l’usanza, nè basterebbono a ciò le mie forze; ma con lettere, povere a tanta impresa: di queste ho, e di queste darò: acciò che ugualmente, o in tutto o in parte, non si possa dire tra le nazioni strane, verso cotanto poeta la sua patria essere stata ingrata. E scriverò in istilo assai umile e leggiero, però che più alto noi mi presta lo ’ngegno, e nel nostro fiorentino idioma, acciò che da quello ch’egli usò nella maggior parte delle sue opere non discordi, quelle cose le




mente dato al chiarissimo uomo Dante Alighieri, uomo di sangue nobile, ragguardevole per iscienza e per operazioni laudevole e degno di grandissimo onore. Intorno alla quale opera pessimamente fatta non è la presente mia intenzione di volere insistere con debite riprensioni, ma più tosto in quella parte, che le mie piccole forze possono, quella emendare; perciò che, quantunque picciol sia, pur di quella città son cittadino, et agli onori d’essa mi conosco in solido obbligato. Quello adunque che la nostra città dovea verso il suo valoroso cittadino magnificamente operare, acciò che in tutto non sia detto noi esorbitare dagli antichi, intendo di fare io, non con istatua o con egregia sepoltura, delle quali è oggi dell’una appo noi spenta l’usanza nè all’altra basterebbono le mie facultadi, ma con povere lettere a tanta impresa, volendo più tosto di presunzione che d’ingratitudine potere essere ripreso. Scriverò adunque in istilo assai umile e leggiero, però che più sublime no ’l mi presta lo ’ngegno, e nel nostro fiorentino idioma, acciò che da quello