Pagina:Sonetti romaneschi I.djvu/279

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Prefazione cclxvii


Spesso poi si lascia sfuggire de’ versi così duri e stentati, che a tirarli su ci vorrebbero due paia di bovi:

... Perchè se [si] Cristo, che poi era er Padrone... (3)
... Fece io allora a un che stava tra la gente... (76)

(In quest’ultimo verso c’è anche da notare che il Romano non direbbe mai: a un che stava, ma sempre: a uno che stava.)

Più spesso ancora, anzi nella maggior parte di questi sonetti, s’incontrano costrutti stiracchiati e artificiosi, affatto contrari alle leggi sintattiche del romanesco, come sono i seguenti, che cavo dai soli primi quattro:

........................... e ’no scaccione
De dàje apertamente ha un po’ paura...
... Mai la lezione m’imparavo a mente...
... Incomincio der ladro la carriera...
... Indo ve t’arivòrti di te senti ...
... Ma p’imità de Cristo la passione...
... Traversàmio de Febo er vicoletto...1
...... Sapènno allora, io antico der mestiere,
Che de sarvà l’onore a la montura
D’un sordato fedele era er dovere...

Insomma, il Marini non ha una conoscenza sicura del suo vernacolo. Costretto dal Governo papale a vivere per molti anni lontano da Roma, egli non ha potuto e non si è curato acquistarla, perchè non l’ha reputata necessaria. Ha badato solamente ad aguzzare gli strali sa-

    romanesca dimolto semplificata, mi preme di dichiarare che non lo fo perchè mi abbiano persuaso gli argomenti addotti contro l’ortografia del Belli, ma perchè il Ferretti ha voluto così, e perchè credo anch’io che il dialetto romanesco presentato in questa forma avrà maggior numero di lettori, specialmente tra i pigri. [Del resto, nncho oggi (1889) che il sistema scientifico augurato dallo Schuchardt può dirsi sorto nell’Archivio Glottologico dell’Ascoli, in quanto a’ sonetti del Bolli era mio stretto dovere di pubblicarli come li scrisse lui.]

  1. A pag. 80, lo stesso autore scrive: Passàmo ar vicoletto der Cancello,
    e questo è il costrutto vero.