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mente atteso dal signor Andrea e dalle zitellone sacrificate alla futura gloria del casato, nacque una bimba, l’Annetta.

— Pazienza — disse il nonno — sarà il secondo.

Ma un altro anno passò, due, quattro.... e la signora Cleofe non accennò più a ritentare la prova della maternità.

In quel tempo, forse perchè si arrabbiava troppo, il vecchio morì di calcoli biliari. E la sua compagna, sbalordita da quella liberazione che le cadeva addosso come una tegola, si ripiegò su se stessa, illanguidì, perdette le forze, e morì consunta.

Rimasto solo padrone di una sostanza considerevole, Leopoldo parve a tutti l’uomo più invidiabile della terra.

— Gli manca l’erede maschio, è vero — dicevano le comari — ma ha tutto il tempo di procurarselo. È ancora tanto giovine e ha una sposina così fresca...

Se udiva tali discorsi, Leopoldo sorrideva di quel suo sorriso enigmatico, più triste di un singhiozzo. Gli mancava ben altro che l’erede maschio!...

Cleofe non l’amava; non lo aveva amato mai; era forse incapace di amare. Egli se n’era accorto a poco a poco, man mano che l’ubbriacatura dei sensi andava calmandosi in lui col possesso, e il bisogno di sentirsi veramente amato, il bisogno di un affetto più profondo e di una tenerezza più squisita, andava sorgendo nel suo animo nobile e delicato. No, essa