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nell’ingranaggio | 249 |
Oh! non c’era di che spaventarsi. Lei sarebbe partita sola, lui solo: si sarebbero incontrati là come due amici, come tanti s’incontrano. Avrebbero passato una ventina di giorni incantevoli. Intanto lui avrebbe dato ordine al suo segretario di trovarle un piccolo appartamento e di farlo ammobiliare con gusto.
Ella tentò di fare qualche opposizione, ma egli le chiuse la bocca baciandola e ribaciandola.
La scrittura con la compagnia milanese andava in vigore per lei il primo novembre al riaprirsi del teatrino omonimo; per ciò aveva quasi tre mesi di libertà davanti a sè.
Purtroppo lui non ne aveva tanti! Volevano farlo deputato e già nel settembre avrebbe dovuto mettersi a disposizione degli amici per farsi presentare agli elettori. Una vera noja! Ma che fare? Questa noja assumeva l’importanza di un dovere, a cui lui doveva piegarsi, per l’avvenire della banca e di quella povera fabbrica, che rimaneva sempre un po’ anemica e penava a riaversi dai colpi subiti.
Per Gilda, quest’affare della deputazione fu l’ombra della sua gioja. Ma non disse nulla altro che questo:
— Continuerai poi a volermi bene?
Per risposta egli se la prese in collo, canzonandola perchè era gelosa della politica.
Di Edvige, del tanto progettato e discusso divorzio, di Lea, nemmeno una parola. Pareva che silenziosamente si fossero accordati a non toccare que’ tasti dolorosi. E Giovanni si mostrava così allegro, così felice, come se avesse dimenticato realmente tutte le amarezze passate.