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nell’ingranaggio 307

aveva visto due volte; ma in teatro non si parlavano.

Lui prendeva una poltrona, quasi sempre vicino al Vimercati, e lei lo guardava dal palcoscenico, o dalla galleria, dove andava qualche volta quando non aveva parte altro che in principio o alla fine della serata; e questo accadeva spesso a lei, che di preferenza cantava.

Questo le rammentava i primi tempi del loro amore, e le metteva nell’anima una grande dolcezza.

Anche lui pareva felice di contemplarla, specialmente quando era sul palcoscenico. Quando cantava, egli non batteva ciglio, e più di una volta la sua voce lo aveva commosso profondamente. Ella se ne era accorta, l’aveva letto ne’ suoi occhi, nella espressione del viso, ch’ella aveva tanto osservato, tanto studiato, che non un moto, non una vibrazione poteva sfuggirle. Egli l’amava sempre. Eppure!... tutto doveva forse finire fra poco tempo.

Tuttavia non credeva che dovesse ripartire senza andare a salutarla.

Certo ella diceva che, se era vero che conduceva Edvige a Roma, se era vero che le aveva perdonato, che avevano fatto la pace, era certo meglio che loro non si vedessero più: meglio che al loro amore fossero risparmiate le brutte scene volgari, i rimproveri malfrenati, le parole ironiche, le scuse mendicate, le inutili menzogne.

Ma quell’abbandono freddo, silenzioso le pareva egualmente insopportabile.

Uno squillo di campanello la fece sussultare. Chi poteva essere altri che lui?...

La servetta andò ad aprire.