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più belle; quelle che sapevano parere in gala con dei cencetti agghindati alla persona, le ispiravano una sincera ammirazione.

Ma non sapeva imitarle. Le sarebbe occorso troppo tempo; e nella sua coscienza di figliuola onesta, sapeva che il tempo non le apparteneva, che lo doveva ai suoi genitori, vale a dire allo studio.

Aveva fatto il suo dovere... almeno così le pareva. Ma dov’era andata la ricompensa su cui le avevano insegnato a sperare?

I suoi genitori erano morti con la convinzione di avere fatto, loro, tutti i sacrifizi possibili per la felicità di lei, e vedendola sempre seria e triste, l’avevano accusata d’ingratitudine.

— E forse avevano ragione! — sospirò chinando la fronte.

Ma che colpa ne aveva lei se il peso della sua esistenza le pareva troppo grave per mostrarsi lieta?

Ora era arrivata nel dormitorio delle grandi: nel noto stanzone dov’ella aveva dormito per ben sette anni, laggiù in fondo; in quel lettino nascosto dalle tendine bianche. Ella rimase un momento immobile con gli occhi fissi, senza deporre il lume. Quanta parte di sè lasciava fra quelle pareti, dove un’altra, probabilmente una infelice come lei, sarebbe venuta a prendere il suo posto. Quante volte aveva pianto dietro a quelle tende, nascondendo la faccia sotto il lenzuolo, per non essere intesa da qualche educanda curiosa e di sonno leggiero. I primi anni specialmente, quando non poteva abituarsi a dormire in mezzo alle alunne, quante volte era stata sul punto di dare le sue dimissioni. L’aveva trattenuta una sorda paura dell’ignoto. Suo padre — la ma-