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mesi addietro: pareva tutta rammorbidita, ingentilita: la sua delicata bellezza era sbocciata meravigliosamente.
I gesti incomposti, le risate eccessive, gli scoppi di voce sguaiatamente volgari, che erano stati la sua prerogativa, non le appartenevano più: camminava con grazia dignitosa, si moveva con flessuosa eleganza, parlava con dolcezza modulando la voce; un po’ affettata, ma carina. Somigliava prodigiosamente a sua madre. Vedendola, la signora Elisa esclamò:
— Oh! sei già pronta. E i ragazzi?
— Sono pronti: li ha vestiti la Giuditta: sa fare.
La Giuditta — la figliuola dei portinai — era entrata al servizio dei padroni, tra cameriera e bambinaia, dopo il matrimonio di Eugenia, dacchè Angelica, salita al grado di signorina da marito, non poteva più uscire sola con i ragazzi, nè sbrigare altre troppo volgari faccende.
— Ora mi vesto — disse la signora Elisa. E chiuse la cassa. — Son già mezzo vestita; non mi manca che l’abito e il cappello.
Di fatti quando si tolse l’accappatoio di mussola azzurra, ella apparve in sottogonna di seta. Dal copribusto scollato e senza maniche le uscivano le spalle e le braccia nude di forma perfetta, candide, compatte.
— Che belle braccia ha la mamma!
— E l’ultima bellezza che si acquista, figliuole mie, e l’ultima che si perde.