Pagina:Spinoza - L'Etica - Paravia, 1928.pdf/106

Da Wikisource.

— 90 —

si subordinino al suo volere. Questa è la perfetta ambizione (prop. 31).

Alla simpatia Spinoza riconduce anche una delle radici dell’invidia (v. sopra, I). Quando una persona gode d’un bene, noi vorremmo goderne, per simpatia, anche noi; e se il suo godimento esclude il nostro, la odiamo. Così la stessa causa fa gli uomini ad un tempo ambiziosi, misericordiosi ed invidiosi (prop. 32).

Vediamo dunque che per la disposizione di lor natura i più degli uomini sono tratti a commiserare gli infelici e a invidiare i fortunati; e il loro odio verso di questi è tanto maggiore quanto più amano le cose che si immaginano che gli altri godano. Vediamo inoltre che dalla stessa proprietà umana, che fa gli uomini misericordiosi, segue ancora che siano invidiosi ed ambiziosi. Infine, se vogliamo consultare l’esperienza, vedremo che essa già ci insegna tutte queste cose, sopratutto se volgeremo l’attenzione ai primi nostri anni. L’esperienza ci mostra infatti che i bambini, il cui corpo è continuamente come in equilibrio, ridono o piangono per ciò solo che vedono altre persone ridere o piangere: e tutto quello che vedono fare agli altri subito vogliono imitarlo e desiderano tutto quello che si immaginano che piaccia agli altri; perchè in realtà le immagini delle cose, come dicemmo, sono le stesse affezioni del corpo umano, cioè i modi secondo cui il corpo umano è affetto dalle cause esterne e da esse disposto a fare questo o quello. (Et., III, 32, scol.).

3) La gioia e la tristezza procedenti da cause interne. La gioia e la tristezza possono procedere non solo da oggetti altri da noi, ma anche dalla rappresentazione di noi stessi. Ciò avviene quando godiamo del piacere che procuriamo agli altri e ci rallegriamo di essere causa di questo piacere, sia per l’approvazione degli altri, sia perchè questa testimonia della nostra maggior perfezione (prop. 30, 53, 55). Spinoza chiama la gioia accompagnata dall’idea di sè come causa acquiescentia in se ipso (prop. 51, scol.; prop. 55, scol.; def. 25); alla quale si oppone l’humilitas (prop. 55,