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Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/156

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CCLIX

Ad un incerto.

     Se quanta acqua ha Castalia ed Elicona
beveste tutta e sí felicemente,
chiaro signor, che poi le vene spente
restasser secche ad ogn’altra persona,
     come poss’io, quando desio mi sprona
a dir di voi sí caldo e sí sovente,
sperar di pur adombrar solamente
quanto di voi si stima e si ragiona?
     Anzi, perché non pur i versi miei
non posson dir quant’io v’onoro e còlo,
ma mille Lini meco e mille Orfei,
     o voi dite di voi, o di me solo
sappia il mondo ch’io vòlsi e non potei
alzarmi pigra a sí gradito volo.


CCLX

A Girolamo Molin.

     Io vorrei ben, Molin (ma non ho l’ale
da prender tanto e sí gradito volo),
portar, scrivendo, a l’uno e l’altro polo
l’alta cagion del mio foco immortale;
     ché l’opra e la materia è tanta e tale,
ed io son sí dal mal vinta e dal duolo,
che a ciò non basto, e voi bastate solo,
od altrui stile al vostro stile eguale.
     Voi far fiorir potete eternamente
il colle ch’amo; voi farlo, lodando,
novo Parnaso a la futura gente.
     Io vo ben ciò talor meco provando,
quanto mi detta il mio desir ardente;
ma forse scemo sue lode cantando.