Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/247

Da Wikisource.

i - terze rime 241

     136Io bramo aver cagion vera d amarvi,
e questa ne l’arbitrio vostro è posta,
sí che in ciò non potete lamentarvi.
     139Dal merto la mercé non fia discosta,
se mi darete quel che, benché vaglia
al mio giudicio assai, nulla a voi costa:
     142questo fará che voli e non pur saglia
il vostro premio meco a quell’altezza,
che la speranza col desire agguaglia.
     145E, qual ella si sia, la mia bellezza,
quella che di lodar non sète stanco,
spenderò poscia in vostra contentezza:
     148dolcemente congiunta al vostro fianco,
le delizie d’amor farò gustarvi,
quand’egli è ben appreso al lato manco,
     151e’n ciò potrei tal diletto recarvi,
che chiamar vi potreste pur contento,
e d’avantaggio appresso innamorarvi.
     154Cosi dolce e gustevole divento,
quando mi trovo con persona in letto,
da cui amata e gradita mi sento,
     157che quel mio piacer vince ogni diletto,
sí che quel, che strettissimo parea,
nodo de l’altrui amor divien piú stretto.
     160Febo, che serve a l’amorosa dea,
e in dolce guiderdon da lei ottiene
quel che via piú, che Tesser dio, il bea,
     163a rivelar nel mio pensier ne viene
quei modi, che con lui Venere adopra,
mentre in soavi abbracciamenti il tiene;
     166ond’io instrutta a questi so dar opra
si ben nel letto, che d’Apollo a l’arte
questa ne va d’assai spazio di sopra,
     169e ’l mio cantar e ’l mio scriver in carte
s’oblia da chi mi prova in quella guisa,
ch’a’ suoi seguaci Venere comparte.
G. Stampa e V. Franco, Rime. 16