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Pagina:Stampa, Gaspara – Rime, 1913 – BEIC 1929252.djvu/74

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CXIX

Si stima avventurata, perchè egli la celebra in versi.

     Io non mi voglio piú doler d’Amore,
poi che, quant’ei mi dá doglia e tormento,
tanto il signor, ch’io amo e ch’io pavento,
cerca scrivendo procacciarmi onore.
     O di tutte bellezze e grazie il fiore,
nido di cortesia e d’ardimento,
come posso bramar che resti spento
cosí famoso e cosí chiaro ardore?
     Anzi prego che ’l ciel mi doni vita,
sí che, dovunque il sol nasca e tramonte,
sia la mia fiamma entro tai versi udita;
     e dica alcuna, ove d’amor si conte:
— Ben fu la sorte di costei gradita,
scritta e cantata da sí alto conte.


CXX

La sua gioia non è senza amarezze.

     Se qualche téma talor non turbasse,
o qualche sdegno, il mio felice stato,
sarebbe il piú tranquillo, il piú beato
di qualunque altra donna altr’uomo amasse.
     Ché, s’avien pur che ’l mio signor mi lasse,
talor a qualche degna opra chiamato,
dentro il mio core e bello ed onorato,
qual egli è meco, il suo sembiante stasse;
     sí che avendo mai sempre in compagnia
tutto quel che piú amo e piú mi piace,
turbarmi Amor o sorte non poria,
     s’egli, che nel mio pianto si compiace,
con qualche nova e strana fantasia
non turbasse o rompesse la mia pace.