Pagina:Steno - La Veste d'Amianto.djvu/216

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La lotta immane durò quasi due ore. Quando Noris ne uscì, il temporale non era cessato ma la sua macchina se lo era lasciato alle spalle e al disopra dell’apparecchio splendeva alto, nel cielo candido di radiosità, il sole.

Noris gli sorrise come a un amico che con lui si congratulasse della riportata vittoria.

— Adesso — gli disse — penserai tu ad asciugarmi.

Sì, il sole poteva riparare in parte alle traccie della passata bufera, ma non poteva, per esempio, riattaccare il tirante inferiore dell’ala sinistra che lo sforzo di resistenza contro una raffica aveva strappato e nemmeno rimettere il telo di destra che si era spezzato ricadendo dentro il telaio.

Noris constatò le traccio lasciate dalla tempesta con profondo scoramento. L’ala sinistra era ancora tenuta da un tirante doppio e da un altro semplice.

— Se non incontro altri ostacoli — si disse — arrivo. Ma se debbo difendermi un’altra volta dalla furia del vento, non so.

Per fortuna, non c’erano molte probabilità di nuove tempeste.

L’orologio e il sole segnavano insieme esattamente il mezzogiorno e gli sforzi fatti da Noris, se avevano compromesso in parte la resistenza dell’aereoplano, erano però riusciti a mantenerlo esattamente sulla sua rotta.

Fra meno di cinque ore egli sarebbe giunto.

Intorno, lo spazio riposava in una pace che pareva soprannaturale, tanto più sensibile per Noris che usciva da una così terribile tempesta. Il cielo limpidissimo era tutto un bagliore d’oro e d’azzurro pallido sgombro di nubi fino all’orizzonte più lontano. E il mare era tutto una distesa scintillante radiosa come il cielo e, come quello, soffuso di pace.

Veniva da quella infinita bellezza una suggestione di riposo e di sicurezza che si traducevano, pel giovane, in energia nuova. Adesso sì, la sua speranza diventava sicurezza.