Pagina:Steno - La Veste d'Amianto.djvu/224

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gera nube sulla sua anima quando a fugarla si levò improvviso l’urlo immane della folla che vedeva avverato finalmente il prodigio.

Noris veniva!

L’aereoplano si avanzava sulla baia visibilissimo, ormai vicino e sempre più distinto. L’aria vibrò dell’onda violenta di centomila grida, dell’urlo di mille sirene, del clamore immane d’infinite voci che salivano a incontrarlo, a investirlo, ad attirarlo giù, sullo spiazzo dove una folla frenetica d’entusiasmo lo chiamava, lo voleva, lo aspettava.

Ecco, già l’aquilotto glorioso aveva lasciato il mare e roteava al disopra del campo. E tutti gli occhi erano lassù dove le pale dell’elica giravano vertiginose e senza posa da ventitrè ore, spiavano la manovra della macchina, cercavano l’uomo ancora invisibile che era riuscito a compiere il prodigio senza precedenti.

Ugo aspettava bianco in viso e con la fronte contratta.

— Ha trovato subito il campo, — disse alla compagna che gli stava vicino, — è prodigioso!

Minerva tacque. Col capo buttato all’indietro, il viso alzato tutto verso il velivolo, ella seguiva la manovra di Noris con un’ammirazione estatica e la sua bianca gola scoperta palpitava come se sotto vi battesse il cuore.

Sì, erano prodigiose quella resistenza, quella lucidità, quella sicurezza! Non solo Noris aveva subito trovato il campo ma aveva seguito perfettamente i segnali e ora si accingeva a scendere anche esteticamente. Ella sapeva l’importanza enorme che egli annetteva alla bellezza dell’atterramento che nel suo concetto doveva essere non solo esatto ma lieve e bello così da dare a chi vi assisteva la impressione della facilità, ma non credeva che Noris sarebbe giunto in condizioni da potere, una volta dippiù, tradurre in atto il suo fondamentale precetto.

Invece era così.

— Ha spento il motore, — disse a un tratto, accanto a lei, la voce di Ugo.