Pagina:Steno - La Veste d'Amianto.djvu/228

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— Il giornalista che ha tracciato queste righe non era del vostro parere.

— Perchè non vi conosce.

— E voi — chiese Minerva Fabbri con voce lenta e spiccata — credete forse di conoscermi?

— Non pretendo tanto. Questo solo so, che siete la saggezza.

— Minerva, sì.... Ma anche Minerva, un giorno, piegò.

Noris sorrise.

— In questo, voi siete superiore anche alla Minerva mitologica.

— Chissà!

Scese il silenzio su quella parola pronunziata dalla fanciulla con profonda tristezza. Ella si era immersa ancora nella lettura della Rivista e Noris cercava un contegno per togliersi dall’imbarazzo in cui lo aveva messo il discorso singolare della fanciulla.

Era strana, quella mattina, Minerva. Per la prima volta ella si rivelava sotto un aspetto che non era più quello del cameratismo antico: diventava sibillina la compagna che era stata sempre limpida sino alla trasparenza; incerta la vergine forte che non aveva mai conosciuto fiacchezza o malinconia. Egli volle attribuire quel contegno singolare a una nervosità provocata nella fanciulla dalle avventate frasi della rivista e fu pronto ad accogliere la giustificazione che la Fabbri stessa gli offriva alzandosi a un tratto e stendendogli la mano:

— Dimenticate le sciocchezze che ho detto, Noris: oggi, anche l’uomo mancato è nervoso come una donna autentica.

Egli strinse la piccola, salda mano e disse:

— Ma non avete detto nulla che dobbiate desiderare di far dimenticare.

Si sorrisero.

— Uscite ancora? — domandò Noris per rimettere la conversazione sopra il tono semplice che gli piaceva di conservare con l’antica allieva.

— No, salgo alla mia camera. Voi sbrigate la vostra corrispondenza, intanto.