Pagina:Steno - La Veste d'Amianto.djvu/229

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Aveva bisogno di star sola. Era davvero pentita d’essersi abbandonata con Noris come non avrebbe voluto farlo mai. Perchè aveva voluto lasciargli intravedere nella sua anima delle debolezze che meglio sarebbe stato ch’egli non avesse scorto mai?

La colpa era tutta di quella ridicola rivista. Se non fosse stato quel ritratto a fornire il pretesto della conversazione con Noris avrebbe avuto tutto il tono di tutti i giorni, si sarebbe aggirata intorno ai particolari del ricevimento della sera prima, alle feste che ancora figuravano nel programma delle accoglienze all’aviatore, alla corrispondenza delle sue numerose e ignote ammiratrici, alle sue impressioni d’America. Così!

Perchè non s’era accontentata di nascondere la rivista e di fingere d’ignorare l’insolenza che forse voleva essere soltanto, e in perfetta buona fede, indiscrezione? O meglio ancora, perchè non ne aveva riso con Noris in piena libertà di spirito come avrebbe fatto, per esempio, ove, invece di Noris le avessero attribuito per amante Paolo Adelio o Cino Coralli o uno qualsiasi dei suoi cento e cento ammiratori?

No. La colpa non era della rivista. La colpa era tutta della nervosità che davvero la teneva da qualche giorno e che la trasformava e la sconvolgeva. Anche prima d’ora ella s’era accorta di non possedere più la sua bella serenità di spirito, la sua olimpica tranquillità, la sua sicurezza superba, la sua imperturbabile disinvoltura.

Da quando? da quando?

Adesso, sola nella sua stanza chiusa internamente da un doppio giro di chiave, come temesse di venir disturbata da qualche intruso, Minerva cercava. La sua tempra di energia, di volontà, di coraggio, di rettitudine si affermava anche in quella disamina che ella faceva di sè stessa con crudezza implacabile, con lucidità singolare.

Abbandonata sopra una lunga poltrona, ac-