Pagina:Steno - La Veste d'Amianto.djvu/249

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ra dunque nel cuore e nello spirito di questa fanciulla alla quale egli s’era compiaciuto di attribuire una superiorità su tutte le altre donne? Un’aridità esasperante che appariva saggezza, un equilibrio che era la risultante di una freddezza sdegnosa e di un cinismo ripugnante!

Adesso, anche la Fabbri si accorgeva di essersi spinta troppo oltre.

Volle rimediare dicendo con un tono di voce molto mutato:

— Perdonate, Noris, se involontariamente io v’ho ferito. Non avevo l’intenzione di farlo e voi non dovete dimenticare che io ho studiato medicina e che mio malgrado non posso non ricordarmi qualche volta, che sono anche la dottoressa Fabbri. Colla rudezza della mia professione, aggravata dalla sincerità terribile del mio temperamento, io ho fatto la diagnosi scientifica di quello che è stato e che è il dramma della vostra vita. Mi perdonate?

— Sì, — disse Ettore Noris disarmato da quelle parole pronunziate con tanto accento di verità.

La fanciulla soggiunse:

— Aggiungete l’irritazione spiegabilissima o il rammarico, come volete, di vedere tutta la vita di un uomo come voi, attraversata, e distrutta per un accidente così disgraziato. Torno a ripetere: se quella poveretta aveva il cuore sano non sarebbe morta e voi sareste felice.

— Chissà! — disse Noris; — forse, allora, il nostro amore avrebbe subito la legge di tutti gli amori.

— Sarebbe morto d’esaurimento, volete dire?

Egli tornò a ripetere:

— Chissà!

— Anche qui credo che abbiate torto di generalizzare, caro Noris. Come tutte le leggi, anche quella che vuole che tutte le fiamme si spengano dopo aver brillato, subisce le sue eccezioni. Se non esistessero gli amori che non conoscono tramonto, non esisterebbero nemmeno i ricordi che non si spengono e le fedeltà che non sanno