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a rodere le scarse erbe, e seguendo sempre e tutte i passi più sicuri, finiscono a disegnare una serie, anzi una rete, di sentieri senza sbocco, che menano in tutti i sensi e non guidano in nessuno. Tale era appunto il luogo ove ci trovammo, spingendoci tra il bosco e i sovrastanti dirupi.

14. «Imaginatevi di vedervi pendere sul capo una immensa parete di nudo scoglio, accessibile soltanto all’aquila e al gufo, ove non alligna una pianta, non cresce un fil d’erba. Più basso invece, e precisamente al nostro livello, sostituite alla ignuda parete una serie di scogli, scaglionati o meglio sperperati sopra un pendio il più ripido che vi possiate imaginare. Bisognerebbe, per farsi un’idea di quei luoghi, leggere almeno la bella descrizione che fa il Rambert delle foreste d’abeti in seno alle Alpi. L’abete, egli dice, è propriamente l’albero della montagna. Esso non spinge lateralmente i lunghi rami, come fanno i tigli e le quercie. Qui l’accrescimento verticale è di rigore. Esso soltanto è quello che permette ad una foresta d’abeti di incrostare, direbbesi, le ignude pareti di una rupe che piomba sull’abisso1. In questi casi una foresta d’abeti non sarà perciò meno un precipizio. Basta il più piccolo punto d’appoggio, perchè vi si fissi un abete, e vi elevi l’uguale arditissimo tronco a foggia d’antenna nascente da ruvido cassero: basta un abete perchè serva come di centro ad una macchia erbosa. Moltiplicate a mille a mille gli scogli, gli abeti, le macchie erbose, e vi sarete creato nella fantasia il bosco, o per meglio dire, il caos, la rovina, a cui ci abbandonammo senza traccia nella speranza di giungere in breve a più sicura proda.

15. » Avanti, avanti; dapprima si cammina a disagio, poi è uno sdrucciolare o piuttosto un lasciarsi sdrucciolare, un abbandonarsi a corpo morto, ove una serie di erbose zolle lo permettono, quindi un aggrapparsi agli scogli, finalmente non c’è più altra via di discendere che quella di attenersi ai tronchi degli alberi, abbandonarsi ai rami flessibili degli abeti, finchè non si fosse trovato un punto di appoggio. In breve ci accorgemmo che la nostra posizione si rendeva difficile, anzi problematica. Benchè gli alberi fossero fitti abbastanza per impedirci di vedere troppo lungi, o meglio troppo basso, ci accorgevamo di essere in complesso sopra un abisso. Io che già aveva più volte osservato dal basso quegli orridi dirupi, di tratto in tratto coperti da vaste

  1. E. Rambert, Les Alpes Suisses, vol. I, pag. 169.