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Pagina:Storia degli antichi popoli italiani - Vol. I.djvu/276

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216 CAPO X.

Aricia, già dedicato dal latino dittatore Egerio tusculano[1]. Un altro tempio prossimo a Lavinio, e dato in custodia agli Ardeati, serviva ugualmente all’adunanza delle diete latine[2]: più spesso avevano per luogo di convento il luco di Ferentino[3], o sia la macchia oggi chiamata di Marino, dove l’orror medesimo della boscaglia facea religione. Il solenne sacrifizio per le ferie latine sul monte Albano, residenza del nume protettore, e l’uguale distribuzione delle carni della gran vittima ai comuni partecipanti, era stato certamente un rito pubblico instituito molto prima di Servio Tullio, qual vincolo e simbolo di legittima confederazione. Ma più che altro dimostra già nell’età prisca grandissima forza di religione l’oracolo di Fauno, nume misterioso e affatto indigeno del Lazio[4], il quale rispondeva alle genti dal profondo della selva Albunea[5]. Con tutto questo se la santità del patto afforzava valentemente l’unione, poderosamente ancora vegliavano alla sicurezza pubblica i costumi del popolo, forte alla fatica, avvezzo al poco, ed usato a passare ogni età fra la caccia, l’aratro e l’armi[6].

  1. Cato Orig. II. ap. Priscian. iv. 4. p. 629.
  2. Strabo v. p. 160.: Cass. Hemina ap. Solin. 8.
  3. Liv. i. 50. vii. 25.; Dionys. passim.
  4. Varro l.l. vi. 3.; Virgil. viii. 314. Geogr. i. 10.
  5. Virgil. vii. 81.
  6. Cato in Orig. et Varro in gente pop. rom. ap. Serv. ix. 603.