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322 CAPO XVII.

montagne. Così cangiò il nome, lo stato e la fortuna di queste contrade. Perchè mentre i paesani ristrettisi tra l’alture e le valli interne del grande Appennino serbarono quivi per secoli gli abiti della semplice vita rustica, i coloni greci andavano di mano in mano progredendo nella propria civiltà e umanità ellenica, che sotto il bel cielo d’Italia dovea precipuamente portare maturi frutti.

Primi di tutti ad approdare alla riva orientale, secondo un racconto di Erodoto1, sarebbono stati una banda di Cretesi, quivi spinti per furia di vento: circostanza fortunosa ripetuta spesse volte nelle narrative di altre condotte delle colonie, e che può confermare quanto imperiti del mare fossero tenuti nell’opinione de’ suoi connazionali stessi i primi navigatori greci. Ma il più antico e vero civile stabilimento greco, che possa certamente ammettersi dalla storia, si è la colonia de’ Calcidesi in Cuma e nell’isole vicine, reputata la più antica di quante n’esistevano in Italia. Sebbene l’età, in cui cotal fondazione vien posta dai cronologisti, sia indubitatamente di gran tempo anteriore al successo2. Altri Calcidesi venuti ugualmente dall’Euripo, costrettivi dalla fame3, posero mano all’edificazione di Reggio, forse a cinquant’anni prima dell’era romana, in compagnia di que’ Messeni, ch’erano esuli da Macisto per aver violate in Limni le fanciulle

  1. vii. 170. Vedi p. 306.
  2. Vedi p. 275.
  3. Heraclid. Pont. de Polit. p. 214