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CAPO XXII. 159

gete davano i Greci per Mercurio infernale1: nè con altro modo teologanti, commentatori, poeti, andavano accordando in un medesimo ente mitologie diverse, come più distintamente si vede in Ovidio. Sì che per questa vittoriosa influenza de’ miti ellenici e dell’arti, che prestavano sì copiosamente a tutte le cose sante fogge pellegrine, ne venne altresì la facile, e in un speciosa credenza, che i nostri maggiori fino da’ prischi tempi avessero comuni con la Grecia i loro numi più venerati2.

Quel grande impero che la mitologia ellenica, tal qual l’avevano ampliata, arricchita e ornata i poeti epici, teneva in generale sopra gli animi e la letteratura de’ Greci, s’estese così largamente anche per l’Italia intera, già piena di Greci di qualunque stato e professione, dappoichè i romani trionfi renderono per mille modi più agevole la via alle comunicazioni ed a’ commerci de’ nostrali coi Greci d’Italia e con quelli d’oltremare. Ma, come si vede per la formula di consecrazione che pone Livio in bocca di Decio, il rituale romano serbava ancora al principio del quinto secolo italica forma, nè alcun dio d’altra ori-

    dell’antico giuramento me Dius Fidius, dicevasi grecizzando me Hercle.

  1. J. Lyd. de Ost. p. 10.
  2. Quale si fosse la miserabil logica d’un Isogono, e d’altri teologastri, onde assomigliare e concordare il greco politeismo coll'italico, vedasi per quel che ne dice Dionisio circa Feronia la dea. ii. 49