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Pagina:Storia degli antichi popoli italiani - Vol. II.djvu/164

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158 CAPO XXII.

vinità era sì grande, che in cambio d’eccitar quistioni, usavano all’uopo ogni studio a conciliare insieme o teogonie, o culli opposti, con dolce indifferenza. La religione pagana essendo così realmente un trovato umano, e un istrumento della politica, ella doveva incorrere per necessità in frequenti mutazioni, e cangiare con la politica stessa. Di qui è che l’italica mitologia prese un aspetto al tutto differente dall'antico: e quasi ogni favola ed ogni iddio, senza mutar essenza, si rivestì all’ultimo d’allegorie più liete, o di simboli e nomi diversi. Il nostro Fauno, Inuo, Silvano, rustiche deità del Lazio, si trovarono convertite in Panisci, in Satiri, o in Sileni aggregati al coro di Bacco. Matuta e Portunno in Leucotea e Palemone1; o sia Ino e Melicerta de’ Fenici2. Bona Dea, che le favole italiche dan per moglie di Fauno incomparabilmente pudica, videsi tramutata per variate spiegazioni di favola in Ecate, in Semele e in Ginecea3: Libitina, che invigilava su’ riti funebri, in Proserpina, o diversamente in Venere regina de’ morti4. Che più? con poetica licenza l’antichissimo Giano dicevasi di Tessaglia5; Sanco o Fidio de’ Sabini si nominava Ercole alla greca6: l’etrusco Ta-

  1. Ovid. Fast. vi. 545 sqq., Met. iv. 521.; Cicer. de nat. Deor. iii. 19.
  2. Melkarth. Hamaker, Misc. Phoen. p. 142.
  3. Macrob. Sat. i. 12.; Lactant. i. 22.
  4. Plutarch. Numa. et Quaest. rom. 23.
  5. Plutarch. Quaest. rom. 22.
  6. Varro l. l. iv. 10.; Festus v. Propter. Quindi in luogo