Pagina:Storia degli antichi popoli italiani - Vol. II.djvu/326

Da Wikisource.
320 CAPO XXIX.

Roma qual era in fiore a’ tempi loro per lungo studio di lettere, anzichè ne’ suoi pricipj, nata fra genti rozze, imperite e guerriere.

Roma vittoriosa e potente in dare la legge ai vinti diede loro ugualmente una lingua dominante. Sa ognuno che per avveduta politica non ministravano ragione i Romani se non che nella propria lingua, e d’uopo era parlare com’essi a chi voleva trattar con loro. Di tal modo l'antico idioma se n’andava poco a poco declinando, e quasi cessava nei municipj con la libertà dell’Italia, ancora che l’abito e la forza del costume ne conservassero l’uso volgare; essendo per natura la lingua uno dei più tenaci vincoli che stringa alla patria. Abbiamo per le storie, che in Etruria e nel Sannio si parlavano comunemente ambedue quelle lingue nel quinto secolo1: di più confermano i monumenti che, nella guerra sociale, i confederati Sabelli l’usarono come lingua propria nelle iscrizioni della loro moneta: in Ercolano e in Pompeja è certo ugualmente che durava la lingua osca al momento della miserabil catastrofe2. L’etrusco fu parimente uno degli ultimi a perdersi, essendo cosa manifesta per moltissime iscrizioni funebri accompagnate di sculture dell’ultimo periodo dell’arte, che quell’idioma si manteneva nella sua forma antica, e coll’istesso metodo di scrittura, anche nei secoli degli

  1. Liv. passim.
  2. Rosini, Diss. isagogicae. etc. Vedi tav. cxx. 3. 4. 5. 9. 10.