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322 CAPO XXIX.

terne ancora ricogliere alquante spoglie tra gli squallidi avanzi dei sepolcri. Non tanto nei tempi antichi le fiere vicende di guerra, quanto ne’ moderni incuria ed ignoranza, furono cagione della perdita d’innumerabili monumenti: sopra tutto da poi che nessuno attendeva a raccorre e serbar lapidi di sì ardua interpretazione; non pensando un sol uomo quanto elle importassero alla reputazione dei passati e al piacere dei posteri. Le tavole di Gubbio, la lapide perugina, e la grande iscrizione scopertasi soltanto nel 1822 con quarantacinque linee di fitta scrittura1, sono bensì monumenti spettanti a religione ed a faccende civili, che ne darebbero importanti ragguagli, quando avessimo la sorte di poterli ben dicifrare. Le iscrizioni funebri assai numerose, e le sole che non resistono a buona interpetrazione, ne porgono tuttavia numero di prenomi, nomi e cognomi, per mezzo dei quali si suppliscono non senza gloria i fasti della nazione. Per essi può la Toscana sola vantarsi di tessere un catalogo di famiglie il più antico, il più copioso, il più autentico che s’abbia al mondo, scritto in lingua materna. In quest’archivio di memorie domestiche vi compariscono casati chiari nella storia, come i Cilnii, che avean dato alla patria regi o lucumoni2; i Licinj, stirpe potentissima d’Arezzo; i Cecini grandi in Volterra; i Vettii in

  1. Vedi tav. cxx. 8.
  2. Tyrrhena regum progenies.