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154 LIBRO TERZO — 1794.

i risparmii e gli stenti della famiglia donati alla difesa e alla quiete del regno. Pianto fallace di povertà; mostre generose e ingannevoli, mercato infame delle nostre sostanze! Le nuove taglie sono assai maggiori delle nuove spese; il re, la regina, il ministro, provvedono al loro ricco vivere in qualunque fortuna.» Così per giudizii gli uni agli altri contrarii, saltando da cima a cima come la plebe.

Il governo sollecito a’ rimedii ridusse in uno i sette banchi della città, col nome di banco nazionale; stabilì botteghini di suo conto soccorsali dei banchi, e per contrapporli a’ guadagni strabocchevoli degli usurai; svergognò e punì molti uffiziali di banco per frodi vere o apposte. E non però migliorando le condizioni, e vedendo le polizze rifiutate nel commercio, comandò che valessero nelle private contrattazioni antiche o presenti: così offendendo e nuocendo alle ragioni dell’universale. Nacque allora ne’ fogli di cambio la indicazione di moneta fuori banco, la quale regge ancora, e forse, scordata la origine (perciò ne parlo), starà in eterno. Andando sempre in peggio la sorte de’ banchi, le fedi circolavano con perdita, che montò sino all’85 ne’ 100. Il danaro involato fu cinquanta milioni di ducati; e perciò, distrutte te doti de’ sette banchi, si rapirono trentasette milioni, senza giustizia, senza misura comune, a caso, a ventura, dalle sostanze de’ cittadini.

Quelle che ho descritte furono in otto anni, dal 91 al 99, le leggi di finanza. Se ne tessero due di amministrazione; utili e ineseguite: l’una prescrivente in ogni comunità la formazione di una carta o tabella indicativa de’ terreni e delle colture; l’altra ordinante il censimento del demanio comunale, a patti giovevoli a’ censuarii, preferendo i poveri. Nulla sì fece in legislazione, in commercio, in iscienze, in arti, in tutta la vasta mole della economia dello stato: però che non reggere nè guidare il regno, ma imperare e combattere erano le sole cure de’ governanti; così accresciuto l’imperio, scemavano le leggi.

XIII. Una contesa presto nata e spenta fra i re di Napoli e di Svezia io leggo in tutte le istorie del tempo come che non degna di ricordanza: e se pur io la registro ne’ miei libri è solamente per non torre fede agli scrittori che mi han preceduto nel faticoso cammino di comporre le istorie. Dopo la morte di Gustavo III, il re successore governava la Svezia negl’interessi di quella parte ch’ebbe ucciso il fratello: nuove congiure perciò si ordirono, e la vita del novello re fu in pericolo. Era tra’ congiurati l’ambasciatore in Napoli barone di Armfeldt, scoperto reo, e dimandato per lettere cortesi del re di Svezia al re delle Sicilie. La morte di Gustavo, principe guerriero e sdegnoso contro la Francia, era spiaciuta alla casa di Napoli, che tenendo giacobini coloro che lo spensero, e sostenitori della causa de’ re la parte contraria, diede al barone d’Armfeldt agio