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Pagina:Storia del reame di Napoli dal 1734 sino al 1825 I.pdf/33

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LIBRO PRIMO — 1702-7. 23

volle per liberalità e clemenza calmare gli odii della ribellione e de’ castighi. Imbarcato perciò a Barcellona, venne in Napoli nel giugno del 1702, e fu ricevuto con le festevoli accoglienze che usano le genti oppresse a coloro in cui sperano. Il popolo non ottenne quel che più bramava, ritenere il suo re, da maggiori destini chiamato nelle Spagne; ma conseguì la larga mercede alle amorevoli dimostrazioni, però che il re abolì molle taglie, donò molti milioni di ducati dovuti al fisco, rimise le passate colpe di maestà, diede titoli a’ nobili di sua parte, sempre mostrandosi co’ soggetti benigno e piacevole. Si assembrarono il clero, i baroni, gli eletti per decretare, in segno di universale gratitudine, un dono al re di trecento mila ducati, e lo innalzamento della sua statua equestre in bronzo nella piazza maggiore della città. Ma i progressi dell’esercito d’Austria in Lombardia obbligarono Filippo, dopo due mesi di gradevole soggiorno, a partire di Napoli per pigliare il freno degli eserciti gallispani che fronteggiavano il fortunato Eugenio di Savoja. Lasciò vicerè lo stesso Ascalona.

VI. Nell’anno 1705, trapassò l’imperalore Leopoldo, e gli suecesse Giuseppe, suo primo figlio. Non perciò rallentarono i furori della doppia guerra in Alemagna e in Italia: sì che l’Ascalona spediva soldati, navi, e denaro in ajuto di Spagna; straziando per leve d’uomini e di tributi gli afflitti popoli. L’amore per Filippo dechinava, e n’era cagione l’acerbità de’ suoi ministri. Così stando le cose nel 1707, il principe Eugenio, disfatti nella Lombardia gli eserciti gallispani, spedì sopra Napoli, per le vie di Tivoli e Palestrina, cinque mila fanti e tre mila cavalieri tedeschi sotto l’impero del conte Daun. Il vicerè Ascalona, scarso di proprie forze, concitò i regnicoli che trovò, per avversione alla guerra e per tendenza alle novità di governo, schivi all’invito. Solamente il principe di Castiglione, don Tommaso d’Aquino, e ’l duca di Bisaccia, don Niccolò Pignatelli, con poche migliaja di armati, accamparono dietro al Garigliano, ed all'avanzarsi del Daun, tornarono in Napoli. Capua ed Aversa si diedero al vincitore; il duca di Ascalona riparò a Gaeta. L’avanguardo tedesco, retto dal conte di Martinitz, nominato da Cesare vicerè di Napoli, era in punto di marciare ostilmente; quando legati di pace gli andarono incontro a presentare le chiavi della città, non vinta, ma vogliosa del nuovo impero. L’ingresso delle schiere cesaree fu trionfale; il popolo alzò voci di plauso al vincitore, e furioso, qual suole nelle allegrezze, atterrata la statua poco innanzi eretta di Filippo V, rotta in pezzi, la gettò nel mare. Pochi giorni appresso cederono i tre castelli della città; il presidio di Castelnuovo, ufiziali e soldati spagnuoli e napoletani, passò agli stipendii del nuovo principe, non vergognando della incostanza.