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Circolazione monetaria in Italia nord-occidentale: secoli XI-XII 49

to, a differenza che nell’area oggetto di questa ricerca, da una sola specie “straniera”, il denaro pavese. La circolazione regionale tende quindi ad avere un carattere omogeneo che va ricondotto alla influenza ordinatrice di un centro: centro che, invece, in area piemontese semplicemente non esisteva. Tale sostanziale omogeneità permane nel Lazio anche quando, con la fine del dominio del denaro pavese a metà circa del XII secolo, il mercato monetario regionale entrò in una fase i cui tratti di maggiore interesse sono costituiti da fatti di circolazione concorrente di specie diverse e di circolazione ritardata, in aree periferiche, di specie già decadute a Roma e nelle zone a lei più prossime. Fatti che bisogna ritenere, anche alla luce di quanto si è detto sin qui, caratteristici della storia monetaria del periodo qui studiato.

Se nel Lazio e nell’area piemontese le fasi di tensione e ricambio monetario derivano in prevalenza da movimenti esterni ai territori presi in esame, può essere interessante, assumendo un punto di vista in un certo senso contrario a quello sinora adottato, scegliere come termini di paragone ambiti entro i quali circolava una moneta autoctona. Una moneta prodotta quindi, come si è appena visto, in una zecca di tradizione regia o imperiale. Si passa quindi dalla considerazione di territori che, per così dire, importano moneta a quella di territori che la esportano. Basterà porre in rilievo due circostanze: la prima è che le tensioni monetarie interne non furono assenti neppure in tali territori; la seconda è che non mancano esempi in cui l’irradiazione esterna all’area di provenienza comportò per la moneta la conquista di territori non solo di intenso sviluppo politico ed economico ma anche – ciò che può stupire – di forti tradizioni di autonomia monetaria.

Si pensi – per un caso di tensioni interne a un’area regionale dotata di una propria officina monetaria – alla Toscana e dunque alla moneta lucchese, che ne dominò fino a metà del XII secolo la circolazione interna ed ebbe ampi canali di espansione esterna1. Lo squilibrio monetario, per usare una espressione di David Herlihy, nella Toscana dell’XI e della prima metà del secolo successivo non si manifestò soltanto grazie al ricorso crescente, testimoniato dalle carte private, a mezzi di pagamento alternativi alla moneta (perlopiù oggetti preziosi). Anche l’adozione sempre più frequente, nelle stesse carte, di indicazioni di origine monetaria (che rimandavano, in modo che sembrerebbe a prima vista scontato, proprio alla moneta lucchese) costituisce naturalmente una spia dell’esistenza di problemi della stessa natura. Le menzioni di moneta etichettata crescono inoltre con ritmi che si direbbero

  1. La moneta lucchese ha interessato per esempio, per restare al caso appena visto, la circolazione laziale (Toubert, Les structures du Latium médieval cit., pp. 580 sgg.) e si è diffusa ampia mente in altre aree dell’Italia centrale: Herlihy, Treasure Hoards cit.; Herlihy, Pisan coinage cit., pp. 173 sgg.; Matzke, Vom Ottolinus zum Grossus cit. (sopra, nota 11) (anche per le fasi di indebolimento della moneta lucchese tra XI e XII secolo); per il caso particolare dell’Umbria si veda A. De Luca, La circolazione monetaria nel territorio di Spoleto nel secolo XII, in Palaeographica, diplomatica et archivistica. Studi in onore di Giulio Battelli, a cura della Scuola speciale per Archivisti e Bibliotecari dell’Università di Roma, II, Roma 1979 (Storia e letteratura. Raccolta di studi e testi, 140), pp. 183-209.