Pagina:Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani I.djvu/243

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nione che fosse una cosa da plebeo il portare più d’una fiata gli stessi abiti più preziosi. Egli non giuocava mai meno di molte migliaja di talleri per volta; ed allorchè andavasene in campagna aveva sempre seco un seguito di mille cocchj, i cui condottieri egualmente che tutti gli altri del suo accompagnamento erano vestiti, ed ornati con regal pompa. In niun’altra parte però la sua profusione fu così eccessiva, e rovinosa, come nel fabbricare. Egli eresse per la seconda, ed ultima volta il così detto Aureo Palazzo, che racchiudeva quasi l’intera Città1. Le particolarità, che in questo palazzo destavano la maggior maraviglia, non erano già lo splendor dell’oro sparso per tutto, e quello delle perle, e pietre preziose, giacchè siffatte cose, come dice Tacito, erano da lungo tempo divenute famigliari, e comuni, ma i triplicati immensi ordini di colonne lunghi mille piedi, o come altri vogliono mille passi; i laghi, che parevano Mari, ed erano all’intorno circondati da file di edifizj paragonabili a Città; i boschi, le foreste, i campi, i prati, i vigneti, le solitudini, e le alture, che somministravano ampie, e deliziose vedute; i bagni caldi, e quelli che riempir potevansi d’acqua di Mare; e finalmente le sale ove si mangiava, le cui volte erano composte di amovibili tavole d’avorio, mediante le quali sparger potevansi sui commensali fiori, ed acque

  1. Svet. 1. c. et Tac. XV. 42.