Pagina:Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani I.djvu/264

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e fatti in pezzi, ed affamati Corvi, che ne divoran le carni — . Seneca descrive l’avarizia dei Romani or vile, ed or violenta in un’altra non men terribile allegoria1. — Se tu, dic’egli nel testè citato suo passo, ti vuoi fare una giusta idea della nostra vita, devi figurarti una Città conquistata, in cui la prepotenza sta in luogo della ragione, e dove è già stato dato il segno per un general saccheggio. In tal città si adoperano furiosamente il ferro, ed il fuoco, si praticano impunemente tutti i vizj, e delitti, e i ladri avidi di preda non vengono neppur trattenuti dal rispetto pei Numi. Si dà di piglio ai tesori pubblici, e sacri, come ai beni dei privati. Quà uno s’insinua di soppiatto, là un altro abbatte con violenza tutto ciò, che si oppone alle sue mire. Il primo saccheggia senza spargimento di sangue, e il secondo all’opposto inalza il suo furto con sanguinoso braccio, e non havvi alcuno, il quale rubato non abbia qualche cosa ad un altro2.

  1. VII. 27. de Benef.
  2. Non merita di esser passato sotto silenzio un tratto notabile di viltà, il quale sembra che non sia stato raro al tempo di Giovenale. Secondo una legge di Domiziano le adultere non potevano ereditar alcuna cosa dai loro adulteri. Per illudere questa legge alcuni amanti istituirono eredi dei proprj beni i pazienti mariti delle loro amiche, affinchè questi venditori delle lor donne potessero passar alle medesime ciò, che era stato lor destinato.