Pagina:Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani I.djvu/32

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da Lui accettata, fu l’intima e fondata persuasione che il Romano Impero non avrebbe potuto sussistere se Egli di nuovo lasciato l’avesse in balìa del senato, e del popolo di quel tempo1. Un’egual opinione era pure stata la causa dell’eroica indifferenza, con cui Cesare se ne stava alle voci d’insidie e di congiure, che tramavansi contro la di Lui vita. Importa, egli diceva2, più al comun bene che a me la conservazione, e la durata del viver mio. Già da lungo tempo io ho fatto bastante acquisto di gloria e di potere. Se mai soggiacer

  1. Svet. in Aug. c. 28. Sed reputans, et se privatum non sine pcriculo fore, et illam (Rempublicam) plurium arbitrio temere committi, in retinenda perseveravit: dubium, eventu meliore an voluntate = I discorsi e le ragioni che Agrippa, e Mecenate esposero ad Augusto nella circostanza, in cui furono da Lui consultati rapporto al conservare, o deporre il supremo potere, trovansi in Dione Cassio sul principio del libro 52, conforme ha luogo altresì presso il medesimo Autore al libro 53, c. 3. e seguenti quello che lo stesso Augusto deve aver detto in Senato su tal proposito. Il contenuto di siffatti discorsi è tutt’al più verosimile, ma il loro adornamento appartiene ad un Greco Retore. Quasi col medesimo spirito giudica qualche volta Dione dell’idee di Augusto (lib. 53, c. 12), mentre gli rende altrove la meritata giustizia, Lib. 53, c. 32 e specialmente lib. 56, c. 45.
  2. Svet. in vita Caes. c. 86.