Pagina:Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani I.djvu/60

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Tale era il carattere, e l’umor di Tiberio che si rendeva assolutamente impossibile che questo Monarca non rimanesse in fine, per così dire, sopraffatto, e vinto dall’ingegnosa malvagità degli accusatori, e dalla servile prontezza, con cui il Senato condannava a morte qualunque accusato, ed i Carnefici ne eseguivano le sentenze; e che il suo animo per se stesso torbido, inquieto e poco suscettibile di dolci, ed umani affetti non si esacerbasse ed inferocisse in modo, per le continue accuse e carnificine, non meno che pei sentimenti di vendetta, d’angustia e di furore, a cui esse dan luogo, che egli da ultimo traboccar dovette in una specie di sanguinano e crudel delirio, nel quale provava una troppo non natural compiacenza rispetto ai tormenti e supplizj degli altri uomini. Tiberio incominciò un giorno una lettera al Senato nei sedenti termini. La maledizione di tutti gli Dei mi perseguiti ancora più di quel che ha fatte fino al presente, se io so cosa o come scrivere vi debba, o non scrivere. Ciò dimostra, dice Tacito, fino a qual punto i vizj e i misfatti di questo Tiranno divennero i suoi continui carnefici; ed egualmente vera che bella è l’espressione di quel filosofo, che se si potessero spogliare, ed aprir le anime dei Tiranni, scuoprirebbonsi in esse orribili ferite e piaghe,

    pensare e di regnare di Giulio Cesare, di Augusto e di Tiberio. Rispetto alle mal fondate accuse veggasi ancora Senec. de Benef. III. 26.