Pagina:Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani II.djvu/116

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belladella romana eloquenza, stava ad udire con piacere la mostruosa lunghezza dei discorsi di Cicerone, e de’ suoi contemporanei, e più antichi oratori; anzi stimavasi allora persino un prodigio se qualcuno arringava un giorno intero, ed esaltato veniva fino al Cielo quello il quale gettato avendo alcun poco gli sguardi nella filosofia ne inseriva qualche bel pensiere ne’ suoi discorsi.

Ciò non deve al certo in alcun modo recar maraviglia, mentre pochissimi erano allora gli stessi oratori, che conoscessero i precetti, e le massime de’ Retori, e de’ Filosofi. Siccome però adesso tutte queste cognizioni sono sparse generalmente, e fra i medesimi uditori appena se ne trova uno solo il quale appreso non abbia gli elementi delle scienze, così bisogna far uso di mezzi del tutto nuovi, ed insoliti per cattivarsi sempre più l’attenzione degli ascoltanti, e dei Giudici1.

Io non credo, scrive Seneca2, che io debba prendermi la pena di ripetere il canto di Epicuro, e di dimostrare in opere voluminose che il timore dei luoghi sotterranei è un vano oggetto; che nè Issione giri la sua ruota, nè Sisifo l’enorme suo sasso; che le viscere dei dannati non possono del

  1. Dialog de Orat. c. 19.
  2. Ep. 24.