Pagina:Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani II.djvu/119

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contemporanei la propria incredulità per rapporto a tutte le dicerie popolari, e poetiche risguardanti lo stato delle anime dei defunti. Si può peraltro rilevare in parte dallo stesso Seneca, e da Giovenale, e molto più da Luciano, da Apulejo, e da altri Scrittori, ed Istorici di quei tempi, che i comuni Greci, e Romani nel primo, e secondo secolo dell’era Cristiana credevano più che mai fermamente, e generalmente in Caronte, in Stige, nelle Furie, e nei Giudici dell’altro mondo; e che gli stessi loro Imperatori, Grandi, e filosofi erano persuasi che si potesse col mezzo d incantesimi richiamar dal Tartaro, e far qua e la vagare le ombre dei defunti, non meno che dell’efficacia di tutte l’altre parti della magia1. Se finalmente la plebaglia di Atene applaudiva un’Epicureo nell’atto in cui questi disputava contro la Provvidenza ciò non proveniva al certo da una generale incredulità, ma bensì dal piacere, che i Greci provavano del continuo nell’udire sofistiche contese, ed un’abil difesa, delle cose più cattive, ed eterodosse.

Fra tutte le scienze non esclusa la stessa filosofia non avvene alcuna la quale risentisse così presto

  1. Veggansi meglio Apulej I. p. 5. 43. 162. Lucian. I. 399. 462. 465. 470. 475. 579. II. 109. et seq. 640. et seq. 923. III. 36. et seq.