Pagina:Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani II.djvu/141

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boliche similitudini, con inusitate trasposizioni di parole, con un’artificiosa brevità d’espressione, e robustezza di pensieri, e in fine con una del pari ricercata rilassatezza, c dolcezza di termini, e di costruzioni1. Con ragione si è quindi asserito che lo stile di Mecenate, e di Gallione null’altro era molte volte che un dolce stucchevole tintinnio di parole — ovvero che il loro discorso abbondava di soverchj ricci, ed abbellimenti, e che questi, ed altri difetti non provenivano già da ignoranza, ma erano bensì a bella posta, e con diligenza inseriti dai suddetti due Autori nei proprj scritti, e discorsi2.

  1. Quid turpius amue, silvisque ripa comantibus? Vide ut alveum lintribus arent, versoque vado remittant hortos . Quid si quis foeminae cirro crispatae, et labris columbatur? — Incipitque suspirans, ut cervice laxa feratur. Nemo Tyranni. Irremediabilis factio rimantur, epulis, lagenaque tentant domos et saepe mortem exigunt. Genium festo vix suo testem, tennis cerei fila, et crepacem molam, focum mater aut uxor investiunt. — E all’Ep. 19. leggesi quanto segue: Ipsa enim altitudo attonat summa.
  2. Senec. et Dial. de claris Orat. II. cc. Malim hercule C. Gracchi impetum, aut L. Crassi maturitatem, quam calamistros Maecenatis, aut tinnitos Gallionis. Adeo malim oratorem vel hirta toga induere, quam fucatis et meretriciis vestibus insignire. c. 26. Dial. de Orat.