Pagina:Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani II.djvu/69

Da Wikisource.

65

ottenerne immortal fama, e non immense ricchezze. Noi al contrario, che siamo continuamente ebbri di vino, e d’amore non abbiamo neppur piacere di conservare ed apprendere le arti, e le cognizioni scoperte, o acquistate dai nostri antenati. Noi dileggiamo, e censuriamo l’antichità, e null’altro impariamo, ed insegniamo che vizj. Ove sono fuggite le più sublimi scienze, e particolarmente le vere nozioni di filosofia? Chi viene mai in un tempio a supplicare gli Dei di proteggere li studiosi suoi sforzi ond’egli riuscir possa un’abile oratore, ed un profondo filosofo? Niuno prega più i Numi ad oggetto di ottenerne un sano intelletto, o una buona salute; ma avvi persino chi prima di giungere alla soglia del Campidoglio promette a Giove un regalo qualora ei possa seppellir presto un suo facoltoso parente, o aver la sorte di mettere assieme un milione. Lo stesso Senato, il quale esser dovrebbe il modello, e il maestro di ogni buon’opera, è solito di promettere mille libbre d’oro al Dio Capitolino cercando in tal guisa di placar Giove stesso con un regalo affinchè niuno dubiti della sua avarizia. Non ti faccia adunque più meraviglia la decadenza della pittura mentre a tutti gli Dei, ed agli uomini una massa d’oro sembra più bella di ciò che quei ridicoli Greci, Apelle, e Fidia hanno fatto. Non si possono riputar esagerate queste la-