Pagina:Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani II.djvu/78

Da Wikisource.
74

di cui la setta stoica8 ha con ragione motivo di andar fastosa. Questi formavano però, a dir il vero, un troppo piccol numero a confronto dell’infinita moltitudine di quelli indegni che null’altro avevano di filosofi se non che il nome, il vestito, e la barba, e trattavano la filosofia come un’arte onde introdursi nelle case dei Grandi, ed ivi dar pascolo agli occulti loro desiderj, e appetiti. Anche coloro i quali non dedicavansi al servizio, e alla schiavitù dei Grandi erano in sostanza o troppo scarsi di spirito per poter esaminare, schiarire, appropriarsi, ed estendere gli insegnamenti degli antichi, ovvero troppo vani, e corrotti, onde esser capaci di sentire l’alto pregio della virtù, ed encomiare, e raccomandare con energìa la felicità che deriva da una vita casta, moderata, e generalmente proficua. La maggior parte dei sedicenti filosofi, e maestri della virtù erano o secchi, e limitati interpreti dei più celebri autori della medesima setta da loro professata, o arguti, ed inutili sofisti oppure eccessivi fanatici, i quali non andavano in traccia della felicità, e della perfezione dell’uomo nella ricerca della verità, e nell’esercizio della virtù, ma solo nelle segrete, e sacre pratiche, ed azioni, e nel conversare con gli Esseri più sublimi, ed immaginarj. È cosa vergognosa, dice Seneca nel mentre ch’ei si scaglia con forza contro dei primi,