Pagina:Storia della decadenza dei costumi delle scienze e della lingua dei romani II.djvu/92

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fece eziandio abbruciare i loro scritti, e cacciò da Roma, e dall’Italia tutti i filosofi affinchè, come dice Tacito, in niun luogo udir si potesse, e vedere alcuna cosa di sublime, e di buono1. Per quindici anni non fu intesa in Roma, e in Italia la voce di alcun maestro della gioventù, e in tutto questo spazio di tempo rimase chiusa la bocca degli amici della libertà, e inoperosa la mano dell’Istorico. Quando finalmente sotto il governo di Nerva, e di Trajano sparì colla dura schiavitù anche il silenzio di morte, che per tanti anni signoreggiato aveva in Roma, e in Italia, ed i pochi sopravvissuti ai proprj amici, ed in parte a se medesimi ardirono nuovamente di parlare, e di scrivere allora si avviddero essi col maggior spavento che a motivo di una si lunga inazione le loro lin-

  1. Tac. l. c. legimus cum Aruleno Rustico (Suetonio lo chiama Giunio) Paetus Thrasea, Herennio Senecioni Priscus Helvidius laudati essent, capitale fuisse: neque in ipsos modo auctores, sed in libros quoque eorum saevitum, delegato triumviris ministerio ut monumenta clarissimorum ingeniorum in comitio ac foro urerentur. Scilicet illo igne vocem Pop. Rom. et libertatem senatus, et conscientiam generis humani aboleri arbitrabantur, expulsis insuper sapientiae professoribus, atque omni bona arte in exilium acta ne quid usquam honestum occurreret.